I nodi irrisolti, infatti, non mancano. Salari bassi, part time volontari in eccesso, mancato incrocio tra domanda e offerta, alto tasso di Neet che non studiano e non cercano lavoro, scarsa attenzione alla sicurezza. Non ultimo la possibilità che la crescita debole del 2023 debba ancora dispiegare i suoi effetti negativi sul mondo del lavoro, come talvolta accade a causa dell’asimmetria temporale tra cicli produttivi e cicli occupazionali. Detto questo, è difficile definire negativo il quadro complessivo. Nel 2023, secondo l’Osservatorio sul precariato dell’Inps, nel settore privato, escluso il lavoro domestico e quello degli operai agricoli, sono stati attivati 8.174.923 nuovi rapporti di lavoro a fronte di 7.651.979 cessazioni, con un saldo positivo di quasi 523mila posti di lavoro. La tipologia di questo mezzo milione di posti di lavoro in più, al netto di propaganda politica e posizioni pregiudiziali, delinea una consistente diminuzione del precariato. Il saldo è stato, infatti, positivo per 395.708 contratti nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, confermando il trend di una sempre maggiore stabilizzazione dei rapporti di lavoro che emerge chiaramente anche nel confronto con i livelli prepandemici. Tra dicembre 2019, prima dell’inizio del Covid e il 2023 il saldo dei contratti di lavoro è stato positivo per quasi 1,6 milioni di unità, con ben 1,1 milioni di contratti stabili in più.

Ma non è tutto. Dopo la ripresa nel 2022 seguita alla fine del blocco delle uscite deciso per fronteggiare la crisi economica legata alla pandemia, si riducono anche i licenziamenti di natura economica. Se si guarda ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato i licenziamenti economici (quelli per crisi di impresa o cessazione dell’attività) nel 2023 sono stati 351.542 con un calo del 9,55% rispetto al 2022. Se si guarda invece ai licenziamenti economici nel complesso sono stati 523.656 con un calo del 6,86% sul 2022. La quota complessiva dei licenziamenti sul totale dei nuovi contratti a tempo indeterminato conclusi negli anni post pandemici (2022 e 2023) si è aggirata in media intorno al 25% mentre in precedenza (2019) era pari al 33%. Le dimissioni complessive calano lievemente (-1,95%) ma restano sopra quota 2,1 milioni a testimoniare, più che la decisione di smettere di lavorare in generale, una buona vivacità del mercato del lavoro che dà la possibilità, per le qualifiche più ricercate, di cambiare più facilmente azienda.

Nel corso del 2023 si è anche completato il ritorno della Cassa integrazione guadagni a consistenze fisiologiche, dopo il massimo e straordinario sviluppo registrato ad aprile 2020 con 5,6 milioni di dipendenti interessati. A dicembre 2023 i cassintegrati risultavano 283.000, con una media di 36 ore pro capite, valore inferiore a quello di dicembre 2022 (324.000 con una media di 38 ore). In lieve calo risulta anche il dato medio per il 2023 (273.000) rispetto al dato medio per il 2022 (289.000).

Sul part-time, che resta un nodo da affrontare, sembra almeno che non ci siano peggioramenti. Per quanto riguarda le tipologie orarie, l’incidenza del part time (considerando sia quello verticale che quello orizzontale) è rimasta pressocché stabile sia per l’insieme delle assunzioni a termine -incluso apprendistato- (37,4%) che per quelle a tempo indeterminato (32,8%).

A livello territoriale, a trainare l’occupazione stabile è il Nord con 540.568 contratti a tempo indeterminato in più a dicembre 2023 sullo stesso mese del 2019, pari al 73% del saldo complessivo dei rapporti di lavoro registrati in più nel periodo (740.041) nell’area. Per il Sud i contratti stabili in più nel periodo sono stati 327.583 sul saldo positivo complessivo per 509.786 unità (il 64%). Al Centro il saldo positivo complessivo è stato di 346.444 contratti con 231.172 contratti in più a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda le fasce di età, bisogna fare ricorso alle ultime rilevazioni Istat, che a gennaio ha registrato una occupazione in leggero calo (-0,1%) rispetto a dicembre 2023, per effetto della diminuzione dei dipendenti a termine (che scendono a 2 milioni 953mila) e degli autonomi (5 milioni 45mila). Il numero degli occupati – pari a 23 milioni 738mila – resta da record, superiore a quello di gennaio 2023 di 362mila unità, come sintesi dell’incremento di 373mila dipendenti permanenti e di 22mila autonomi e della diminuzione di 33mila dipendenti a termine. Tornando alle fasce di età, tra dicembre 2023 e gennaio 2024 gli andamenti sono abbastanza variegati: tra i giovani fino a 34 anni il tasso di occupazione diminuisce (con un aumento dell’occupazione giovanile dello 0,2% al 21,8%) e si associa all’aumento di quelli di disoccupazione e di inattività; tra i 35-49enni il tasso di occupazione rimane stabile, a fronte di una diminuzione di quello di disoccupazione e di un aumento di quello di inattività; infine, la fascia d’età 50-64 è l’unica che mostra un aumento del tasso di occupazione che si associa alla crescita del tasso di disoccupazione e alla diminuzione di quello di inattività. Su base annua, in tutte le classi di età si osserva la crescita del tasso di occupazione e il calo di quello di disoccupazione; anche il tasso di inattività diminuisce in tutte le classi d’età, fatta eccezione per i 15-24enni, tra i quali è stabile.

Sulle differenze di genere, invece, a gennaio 2024, per entrambe le componenti, si registra rispetto a dicembre 2023 la stabilità del tasso di disoccupazione, che si associa al tasso di occupazione in crescita tra le donne (+0,1 punti) e in diminuzione tra gli uomini (-0,3 punti); il tasso di inattività cala tra le prime (-0,1 punti) e aumenta tra i secondi (+0,4 punti). Su base annua, sia tra gli uomini sia tra le donne si osserva la crescita dell’occupazione (+0,7 punti tra gli uomini e +1,0 punti tra le donne) e la diminuzione sia dell’inattività (-0,4 e -0,3 punti rispettivamente) sia della disoccupazione (-0,4 punti tra gli uomini e -1,1 tra le donne).

È in questo quadro, fatto di un’occupazione che cresce, ma anche di tutele inadeguate, di livelli salariali insufficienti e di norme non più adatte ad un mondo del lavoro in forte evoluzione, che si inserisce il primo contratto nazionale “multimanifatturiero” siglato qualche giorno fa da Confsal e Confimi Industria. Un testo unico che per la prima volta stabilisce le basi delle relazioni industriali per numerosi settori: dal tessile alla chimica, dalla plastica alla gomma, dall’alimentare al legno-arredo. Il contratto è un unicum sotto diversi punti di vista e punta proprio, attraverso una contrattazione di qualità, ad affrontare i nodi ancora aperti malgrado la situazione abbastanza favorevole del mercato del lavoro.

È introdotta l’apertura alla partecipazione di un rappresentante dei lavoratori all’interno del cda delle imprese con potere consultivo, è valorizzato il titolo di studio dei dipendenti associato a determinati livelli di inquadramento, e una grande attenzione è posta nelle definizioni del trattamento economico (sia di base che globale) e nel favorire la contrattazione del premio di risultato. Ancora: l’eventuale possibilità di distribuire l’orario di lavoro su 4 giorni, di norma fissato a 36 ore, a parità di salario e i minimi tabellari di 9 euro l’ora sono ben al di sopra dei famosi 9 euro del salario minimo di cui tanto si discute da mesi senza arrivare a nessun risultato concreto. Tra le particolarità, l’introduzione del contratto di rete tra più imprenditori con particolare attenzione alla co-datorialità. Introducendo l’istituto del “preavviso attivo” che di fatto è una forma contrattuale di outplacement, dove si vuole favorire il reinserimento dei lavoratori in esubero nel lavoro tramite la formazione e la ricerca di riallocazione prima del licenziamento.

Confermata la contrattazione a due livelli, meno ingessata rispetto alle consuetudini, e novità vengono introdotte in termini di calcolo di indennità per vacanza contrattuale. In caso di mancato rinnovo, questa scatterà in automatico dal mese successivo alla scadenza e sarà calcolata in percentuale al tasso inflattivo dell’anno precedente. Grande attenzione è dedicata anche alla cultura della sicurezza sul lavoro, mettendo al centro la persona e privilegiando la prevenzione, la formazione e gli investimenti nell’ambito in questione, anche tramite la promozione dei MOG-SGSL e la tutela legale dei preposti oltre al dovuto riconoscimento economico per la funzione svolta.